La fotografia racchiude in se la magia di rappresentare nel modo più realistico che si conosca qualcosa di totalmente irreale. 

L'istante. 

 l’anima 

Lo scatto non è più l'opera di chi estrae dal tempo un frammento, ma rappresenta soltanto l'epilogo, la sintesi; il modo di rubare nelle vite altrui la forza e l'anima che non ci appartengono.

Audace, provocatorio, lucido o irriverente. Il sogno che vibra in quella frazione di pensiero è solo la consapevole coincidenza che può accadere, l'incontro magico fra la luce e la sua rifrazione diventano l'ossessione tangibile in un riflesso incondizionato. L'immagine racconta la certezza di una felicità avuta ma non posseduta, la prova indelebile, l'irriverente consapevolezza di ogni risultato, errore o fortuna che sia.

La forza della parola o il potere dell'immagine, quale comunicazione rispetta la percezione di un idea? ...Forse occorre lasciarsi trasportare da questo sensibile dubbio e credere almeno una volta che sia possibile soffermarsi su un'emozione propria come reazione al pensiero altrui. L'immagine deteriorata dal suo significato percettivo evoca l'incontro con una realtà differente ma non meno eloquente, il riflesso che fino a quell'istante apparteneva ad un contesto viene strappato via, e dopo, subito dopo, scolpisce un tratto di celluloide e recupera un anima che gli apparterrà per sempre.

 i riferimenti 

Ritrovavo nelle immagini che scattavo quasi automaticamente, quei modi gentili già visti nelle opere di Robert Doisneau e Willy Ronis, ero morbosamente attratto dal cogliere, rubare, quasi strappare via, frammenti di vita dei miei soggetti. Era un po' come se entrando in un contatto fisico, intimo col soggetto ne potessi rubare l'anima e la forza che non mi appartenevano. 

Così ogni momento diventava un relazione una storia, quell'istante magicamente scolpito sulla celluloide dalla luce, non restava più un tratto bidimensionale ma faceva parte di me, per sempre. 

Da autori come Sebastiao Salgado o Gianni Bordengo Gardin ho appreso il valore documentale ed evocativo dell'espressione fotografica, altri come Donal Moloney o Helmut Newton's mi hanno trasmesso la forma e la tecnica di questa comunicazione. Le loro influenze sono state determinati per avvicinarmi a quello che risiedeva dentro di me; ma è dal cinema che è arrivato lo stimolo verso la maturazione artistica e la consapevolezza definitiva. 

“Der Himmel über Berlin” dell''87 di Wim Wenders fu per me un'esperienza sconvolgente, “La Double Vie de Véronique” dell''91 di Krzysztof Kieślowski, e poi la scoperta di autori come Pedro Almodóvar e François Ozon. Compresi dai loro lavori che la mia fotografia poteva essere davvero narrativa, lo scatto era solo l'epilogo, la sintesi, la provocazione per estrarre un racconto, un vissuto, un modo per dilatare il tempo e renderci immortali. 

Infine l'incontro con quello che per me è il sublime lavoro di Anders Petersen e Jürgen Baldiga, il vero genio, l'accompagnamento verso un nuovo punto di vista; l'esperienza visiva inedita, ciò che riesce a spostare la mente, ad aprirla verso una nuova interpretazione possibile. L'archetipo che riesce a rendere percepibile e tangibile la nova “visione”, la modulazione di un pensiero sconosciuto, attraente ed inevitabile, un trasporto tra sensazioni oniriche ed oblio. 

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